Proloco Covo

La mezzanotte dell’anno

, Podcast Vera Bugatti, nata a Brescia (Italia) nel 1979, si è laureata in Conservazione dei Beni Culturali a Parma ed è stata assegnista di ricerca a Mantova con una tesi dedicata ai trattati eterodossi del Cinquecento. Ha pubblicato saggi di ricerca storica e iconologica e ha collaborato con redazioni. Attiva dal 2008 ed esperta di Anamorphic Street Painting dal 2015, ha dipinto in Italia, Olanda, Francia, Germania, Irlanda, Croazia, Austria, Malta, Svezia, Danimarca, Bosnia Erzegovina, Portogallo, Spagna, Lettonia, Russia, Gran Bretagna, Bulgaria, Belgio, Stati Uniti, Messico, Emirati Arabi Uniti e India. Considera l’Urban Art come una declinazione della sua poetica artistica, con continui riferimenti alla vivibilità del pianeta, ai disturbi dell’uomo e alle problematiche sociali. Lavora anche con diverse tecniche e materiali. Innanzitutto le figure in rilievo realizzate intrecciando fili con l’ausilio di chiodi, tenaglie emartello. Poi le scatole ottiche in legno, con serrature che permettono di osservare cosa c’è dentro, che contengono quadri o specchi leggermente deformati. Sbirciando si intravedono Mondi Novi moderni, mondi a volte inquietanti. “La mezzanotte dell’anno” è una reinterpretazione emotiva di Vera Bugatti dell’iconografia di Santa Lucia, martire siracusana vissuta alla fine del III secolo e morta sotto la persecuzione di Diocleziano. L’idea nasce dalla presenza sul territorio di Covo di un antico oratorio, già testimoniato dalle visite pastorali seicentesche, dove la Santa compare in un affresco accanto alla Vergine di Loreto e dalla volontà di raccontare con l’opera una delle leggende a cui grandi e piccini, bergamaschi e bresciani, sono più affezionati. Il titolo dell’opera trae ispirazione dal verso di un’opera di John Donne, poeta metafisico inglese dei Seicento: “Notturno sopra il giorno di Santa Lucia, il più breve dell’anno”, nel quale il giorno di Santa Lucia, il 13 dicembre, è definito “la mezzanotte dell’anno” (the years midnight) perché è il più breve. Un’opera densa di pathos e dolore, che ha ispirato la street artist bresciana nella sua rilettura. Pur citando il poeta neltitolo la Bugatti, per reazione, ha scelto di ricoprire il capo della sua Lucia di fiori, frutti, foglie, insetti palpitanti, colore. La Santa Lucia che ne esce, come potete ammirare, è una versione rigogliosa che esalta la caparbietà emersa dalla passio, ma lascia lo sguardo fuggevole della martire impresso nei passanti. Un volto che in parte ispira soggezione, mentre il muso dolce dell’asino assume un atteggiamento più teso. Il dettaglio degli occhi di Lucia, come attributo iconografico, è presente ma in una visione più soft che è quella di una piantina le cui foglie “ci osservano” e che culmina in un giglio, simbolo di candore, su suggestione della Santa Lucia di Francesco del Cossa (uno dei pittori più importanti della scuola ferrarese del XV secolo) conservata nella National Gallery of Art di Washington. Lucia è carica di potenza, con un’intensità che la rende interiormente inamovibile ma ne lascia trapelare i timori. L’opera è un notturno interiore (dell’artista, della martire, del poeta) che emana luce, una sorta di paradosso cromatico, colore che nasce dall’ombra come primavera che esplode nell’inverno. Permane però un’inquietudine, l’ombra incancellabile di una morte violenta che ci deve ricordare le molte altre precedenti o coeve, le vite tolte in nome dell’egoismo di altri. Un’indicazione tecnica: l’opera è anamorfica e va vista arrivando da destra. Vi accorgerete camminando che il dipinto si distorce fino ad essere allargato e schiacciato dal lato opposto al punto di vista. Fotografatelo da davanti e poi di lato oppure provate a registrare un piccolo video camminando e lo vedrete riformarsi. Mappa dei Murales La visione di CURE è duplice, la prima e più evidente è il dare vitalità e qualità al territorio attraverso l’arte urbana ed iniziative varie, la seconda è invece quella di costruire e rafforzare il rapporto che la popolazione, e principalmente i giovani, hanno con il nostro territorio, il contesto in cui viviamo e radicare in essi un profondo senso di appartenenza e un atteggiamento proattivo davanti alle problematiche sociali, costruendo così un buona base di cittadinanza attiva e partecipata. 

Conversione di San Paolo Odescalchi

, Podcast Andrea Ravo Mattoni è nato sotto la buona stella dell’arte: figlio dell’artista concettuale Carlo Ravo Mattoni, cresce circondato dallo zio Alberto illustratore e insieme al nonno Giovanni Italo, pittore e autore di alcune delle più importanti creazioni per Lavazza. Si forma all’Accademia di Belle Arti a Brera, dove approfondisce la sua ricerca sugli oli e gli acrilici su tela, fino alla sperimentazione nel corso degli anni della tecnica pittorica su tela trasposta sui muri di cemento. Il suo interesse per l’arte classica è sempre statomolto forte, un bagaglio culturale trasmessogli dalla sua famiglia così come dai suoi studi, fino al 2016 quando inizia a progettare con la sua ricerca artistica il recupero del classico in chiave contemporanea. L’intento è chiaro: realizzare sui muri i capolavori della classicità utilizzando bombolette spray, accorciando così le distanze tra il pubblico, i musei e le grandi opere d’arte. Oggi Andrea Ravo Mattoni è stato in grado di creare un ponte tra l’arte classica e contemporanea e deve la sua fama al recupero del classicismo mediante l’utilizzo della bomboletta spray, facendolo coesistere con la Street Art. Un’opera del Caravaggio colora una delle pareti che conduco al centro storico di Covo, ed è con questa opera che nel 2018 inizia il vero e proprio progetto di rigenerazione urbana attraverso la urban art del borgo di Covo. Andrea Ravo Mattoni scegli di riprodurre a Covo un’opera di Michelangelo Merisi, le cui origini pongono le basi proprio nel territorio della Bassa Bergamasca, a pochi chilometri da Covo, ma l’opera non è un Caravaggio “qualsiasi”, si tratta infatti della “Conversione Odescalchi”, ovvero la prima Conversione di San Paolo dipinta dal maestro, poco conosciuta al grande pubblico perché da semprecustodita in collezioni private e da sempre al centro di uno dei più appassionanti enigmi caravaggeschi (che vi consigliamo di approfondire). La scelta di Ravo di non riprodurre la Conversione canonica di San Paolo, va nella direzione del suo lavoro di restituire al pubblico l’arte classica, soprattutto quella meno nota. Per tale motivo viene scelta l’operacommissionata al Caravaggio nel 1600 da Tiberio Cerasi, tesoriere generale della Camera Apostolica, cioè il Ministro del tesoro del Papa (all’epoca Clemente VIII Aldobrandini), per decorare le pareti della sua nuova cappella in S. Maria del Popolo, che l’architetto Carlo Maderno era stato incaricato di ristrutturare. L’opera del Caravaggio, realizzata su tavola di legno, è ancora profondamente legata a moduli compositivi e formali manieristici e le figure sono rappresentate con un punto di vista meno ravvicinato, questo ci suggerisce la datazione, è un’opera sicuramente più acerba rispetto alla Conversione di San Paolo cheinvece tutti conosciamo. Sicuramente degno di nota è come Ravo trasponga quest’opera sul muro di Covo, mentre tutti i grandi murales poi realizzati nel borgo sono secondo la classica tecnica a pennello ed acrilico, qui l’artista utilizza la bomboletta spray, rendendo così ancor più interessante questa sua riproposizione dell’arte classica che si carica così di una forte modernità. Mappa dei Murales La visione di CURE è duplice, la prima e più evidente è il dare vitalità e qualità al territorio attraverso l’arte urbana ed iniziative varie, la seconda è invece quella di costruire e rafforzare il rapporto che la popolazione, e principalmente i giovani, hanno con il nostro territorio, il contesto in cui viviamo e radicare in essi un profondo senso di appartenenza e un atteggiamento proattivo davanti alle problematiche sociali, costruendo così un buona base di cittadinanza attiva e partecipata. 

Concerto per violino: ol paìs de Còf

, Podcast Matteo Capobianco, in arte Ufocinque, nasce a Novara nel 1981. Dal 1994 protagonista attivodella scena writing e poi street-art italiana, con numerosi interventi in spazi di wall-painting ineventi dedicati e parallelamente in maniera spontanea in spazi abbandonati come fabbriche indisuso e vecchie cascine. Dopo gli studi di Disegno industriale al Politecnico di Milano, inizia un percorso di fusione tra arte e progetto creando scenografie per vari teatri italiani, occupandosi dalla progettazione alla realizzazione. La volontà di spaziare in più ambiti creativi lo porta a sperimentare differenti media espressivi, il tutto collegato da un rimando a questa arte delpassato. “Concerto per Violino: ol paìs de Còf” è l’opera realizzata nel 2020 da Matteo Capobianco per celebrare l’ottantesimo anniversario della morte del compositore e violinista spezino Giulio De Micheli (La Spezia, 1889 – Covo, 30 settembre 1940). Chi fu il Maestro Giulio De Micheli: è stato un compositore, violinista e direttore d’orchestra italiano. Svelò la sua inclinazione musicale a soli cinque anni e all’età di quindici anni conseguì il diploma, completando poi gli studi presso il Conservatorio Arrigo Boito di Parma, perfezionandosi anche in violino: come solista, si rivelò un virtuoso apprezzato in una serie nutrita di concerti in Italia e all’estero. La sua produzione comprende oltre 160 composizioni, tra cui numerose operette, quattro messe, il poema sacro Petrus. Il punto culminante del suo genio artistico è rappresentato dalla Prima Suite (In campagna), dalla Seconda (Visioni egiziane) e dalla Terza (Suite di danze). Da menzionare anche gli Intermezzi (tra cui A Ida su testo di Giovanni Pascoli), i valzer e le marce. De Micheli si trasferì a Covo a seguito del matrimonio con la covese Anna Borelli. Qui si affezionò alla gente del paese, agli anziani del ricovero ed ai bimbi dell’asilo per i quali fece parecchi concerti di beneficienza. Fattosi amico del parroco Don Angelo Galafassi, compose numerose operette delle quali don Galafassi stesso fu librettista, operette che poi venivano messe in scena dai giovani dell’oratorio. De Micheli morì a Covo il 30 settembre 1940 a seguito del decorso della sua malattia. L’opera si compone di un grande spartito di fondo (un pezzo originale del De Micheli) sul quale si inseriscono come note musicali qua e là i luoghi simbolo (i monumenti) di Covo: dalla chiesa parrocchiale alla santella di San Lazzaro, dai vari oratori ai mulini, dal Fosso Bergamasco alla torre del Castello. Sul lato sinistro si staglia una gigantografia del compositore atto a mettere in musica col suo violino questo particolare concerto fatto di luoghi colmi di storia e significato per il paese di Covo. L’opera, realizzata con colori acrilici, riprende lo stile della cartografia medievale e utilizza una scala cromatica sui toni del seppia. Per volontà dell’artista non è stato dato alcun protettivo al dipinto murale per far sì che con l’invecchiamento l’opera acquistasse quel carattere vissuto, quasi consumato, tipico dellostile sopra descritto. Mappa dei Murales La visione di CURE è duplice, la prima e più evidente è il dare vitalità e qualità al territorio attraverso l’arte urbana ed iniziative varie, la seconda è invece quella di costruire e rafforzare il rapporto che la popolazione, e principalmente i giovani, hanno con il nostro territorio, il contesto in cui viviamo e radicare in essi un profondo senso di appartenenza e un atteggiamento proattivo davanti alle problematiche sociali, costruendo così un buona base di cittadinanza attiva e partecipata. 

Proiezioni

, Podcast Vesod, classe 1981, torinese di nascita, è un artista che ha cominciato con il writing nel 1998, quando dipingeva graffiti in Italia e all’estero e partecipava ai più importanti eventi del settore, come il Picturin Festival ed il Meeting of Style. Membro della SCO crew, partnership artistica torinese in cui si fondono musica e disegno. Dopo aver conseguito la laurea in matematica, sceglie di intraprendere in modo definitivo la carriera artistica. Segnato dalle opere del padre Dovilio, si avvicina alla tela conciliando diversi mezzi, come lo spray e l’olio. Tra mostre collettive e personali, a oggi è considerato uno dei migliori artisti contemporanei della Street Art internazionale. Vesod si definisce un urban artist, un muralista, poiché il suo percorso pittorico l’ha portato a realizzare dipinti legali in spazi pubblici, come tanti altri pittori del passato. Quando entri a Covo da ovest non puoi non vederla, l’immensa opera di Vesod dal titolo “Proiezioni” ti trasporta in una visione metafisica del borgo. L’opera mette in scena tutto l’apparato metafisico, simbolico e matematico che contraddistinguono lo stile del celebre artista torinese: la triplice ripetizione della visione del borgo, il doppio punto di vista zenitale e assonometrico, il cerchio, lo specchio. Questi elementi uniti ad una figura di donna e dei vecchi cinematografi costituiscono l’apparato dell’opera che Vesod ha pensatoper Covo e richiamano alla memoria visioni escheriane e frammenti cinematografici fantascientifici. La giovane donna si specchia una cornice dove il vetro è sostituito dal cielo, in quel cielo denso di nuvole che sovra la triplice visione dall’alto di Covo, sempre la stessa, con la triplice ripetizione della torre campanaria che si staglia nel cielo. In questo cielo, in questo paese, che la giovane donna rivede se stessa proiettata, in quel cielo dove un cerchio (simbolo di armonia, completezza, perfezione) si compone dei campi che circondano il paese. Il significato dell’opera è nascosto in questo sistema di elementi e ripetizioni: noi siamo la proiezione del luogo nel quale siamo nati e abbiamo vissuto, quel luogo che ha costruito il nostro background, la nostra forma mentis, la nostra cultura. Quel luogo che non possiamo negare e nel quale sempre saremo proiettati. L’opera è stata realizzata con acrilico e pennello, utilizzando colori primari miscelati e fortemente diluiti al fine di dare l’effetto slavato ad alcuni toni di colore. Vesod ha utilizzato la tradizionale tecnica della squadrettatura per trasferire dal bozzetto alla parete il disegno. Mappa dei Murales La visione di CURE è duplice, la prima e più evidente è il dare vitalità e qualità al territorio attraverso l’arte urbana ed iniziative varie, la seconda è invece quella di costruire e rafforzare il rapporto che la popolazione, e principalmente i giovani, hanno con il nostro territorio, il contesto in cui viviamo e radicare in essi un profondo senso di appartenenza e un atteggiamento proattivo davanti alle problematiche sociali, costruendo così un buona base di cittadinanza attiva e partecipata. 

Hydrogen Carbonate e Musa Sikkimensis

, Podcast Fabio Petani nasce nell’estate del 1987 a Pinerolo. Dopo la maturità scientifica si laurea in Beni Culturali presso la Facoltà di Lettere e Filosofia di Torino con una tesi sulla Arte Urbana e la cultura di strada dalle origini ai giorni nostri. Questa ricerca lo avvicina ancor più strettamente al panorama artistico torinese ed entra a far parte dell’associazione Il Cerchio E Le Gocce (molto attiva nel panorama artistico torinese e non solo sin dal 2001). Nei suoi lavori è presente una disordinata armonia di linee, forme e volumi che siintegrano fra loro con colori tenui e armoniosi miscelati a elementi di rottura. La ricerca analizza l’aspetto chimico e molecolare degli oggetti da cui nasce un lungo lavoro di ricostruzione degli elementi della tavola periodica; una produzione sempre più ricca di particolari per far emerge una complessità organica in continua evoluzione. Ogni elemento chimico, come ogni pianta, ha in qualche modo una connessione con l’ambiente, lo spazio o il contesto dove il murale viene realizzato. L’importanza del legame fra opere e contesto viene ripresa anche nei lavori su legno, carta o altri supporti alternativi nei quali Petani cerca dilasciarsi trasportare dalla materia al fine di terminare la tavola periodica con un gruppo di opere che raccontino un’alchimia tra arte, chimica e natura. HYDROGEN CARBONATE MUSA SIKKIMENSIS sono i due elementi che caratterizzano l’opera insieme al grande ghiacciaio. Il bicarbonato, il primo, è un elemento contenuto in buone quantità in moltissime acque del territorio bergamasco (si pensi all’acqua San Pellegrino), mentre la Musa Sikkimensis Red Tiger è al secolo la pianta di banano.Cosa c’entrano un banano, il bicarbonato e un ghiacciaio a Covo? La velocità dello scioglimento dei ghiacciai nel mondo è quasi raddoppiata nel corso degli ultimi vent’anni e contribuisce all’innalzamento del livello dei mari più dello scioglimento dei ghiacciai della ghiacci della Groenlandia e dell’Antartide, ce lo rivela uno studio pubblicato su Nature (il più completo mai realizzato in questo ambito) il 28 aprile 2022. Dal 2000 al 2019 sono andate perse 267 gigatonnellate di ghiaccio all’anno, pari al 21% dell’innalzamento dei mari:come spiegano gli scienziati, è l’equivalente di sommergere la superficie dell’Inghilterra sotto due metri di acqua ogni anno. Questi dati ci dicono che dobbiamo cambiare rotta, cambiare il modo in cui viviamo e agire adesso. L’opera di Petani è quindi un ammonimento, una richiesta di fermarsi e pensare al domani del Pianeta, al nostro domani. Lo scenario dipinto è una provocazione spinta: cosa c’entra quindi un banano nella Bassa Pianura Bergamasca? Uno scenario che potrebbe purtroppo avverarsi: una pianta tropicale, come il banano, potrebbe diventare presto un pianta autoctona anche nella pianura bergamasca. I Murales di Covo Mappa dei Murales La visione di CURE è duplice, la prima e più evidente è il dare vitalità e qualità al territorio attraverso l’arte urbana ed iniziative varie, la seconda è invece quella di costruire e rafforzare il rapporto che la popolazione, e principalmente i giovani, hanno con il nostro territorio, il contesto in cui viviamo e radicare in essi un profondo senso di appartenenza e un atteggiamento proattivo davanti alle problematiche sociali, costruendo così un buona base di cittadinanza attiva e partecipata. 

Il rapimento di Europa

, Podcast Kraser Tres, al secolo José Jorge Nicolàs Salas, pittore e disegnatore pubblicitario, nasce in Spagna a Cartagena all’inizio del 1977, ha frequentato l’Accademia di Belle Arti a Murcia. Dal 2001 inizia ad essere nominato come giurato in concorsi, lavori in mostre collettive e personali e partecipazione a festival artistici emergenti. Nel 2004 crea il gruppo TRE composto da artisti internazionali con il fine di promuovere ilmovimento dell’arte di strada come un autentico movimento artistico. Nel 2009 si è trasferito a Milano, città in cui oggi vive e lavora. Ha partecipato a numerose mostre nazionali e internazionali e ai più importanti festival di arte urbana del mondo. Kraser nelle sue opere reinterpreta sculture classiche, rinascimentali e neoclassiche, a cui sovrappone figure, colori e geometrie che danno vita a un dialogo tra mondo antico e creazione contemporanea. Il suo lavoro è influenzato da vari movimenti artistici; pittura classica, surreale e lowbrow tra gli altri, ma anche dalla società odierna e dal mondo dei sogni. In questo modo, il suo stile è ricco di concetti ironici e onirici per creare e trasmettere emozioni, lasciando allo spettatore il compito di sviluppare la propria interpretazione. Dall’inizio e attraverso tutto il suo lavoro, si genera una linea di lavoro in cui il lettering è quasi sempre presente. L’artista spagnolo Kraser Tres reinterpreta a Covo l’antico mito greco del ratto di Europa, le cui prime testimonianze risalgono ad Omero ed Esiodo nel VIII secolo a.C.Il racconto mitologico narra che Europa, bellissima principessa fenicia figlia di Agenore e Telefessa. Zeus se ne invaghisce, tanto da chiedere ad Ermes di far avvicinare i buoi del padre di Europa verso quel luogo, per non insospettire nessuno. Il padre degli dei si trasformò in un bellissimo e bianco toro, si avvicinò alla fanciulla per nulla intimorita e gli si stese ai piedi. Ammirandone la mansuetudine e non pensando minimamente che dietro potesse esserci un inganno, Europa gli salì sul dorso. Zeus la rapì attraversando ilmare e trasportandola a Cnosso, sull’isola di Creta. La fanciulla generò tre figli, tra i quali Minosse, re di Creta, Radamanto, giudice degli inferi e Serpedonte. I tre figli vennero adottati dal marito “mortale” della giovane, Asterione re di Creta, ma prima di tornare sull’Olimpo, Zeus lasciò tre doni ad Europa: Talos (un gigante di bronzo guardiano di Creta), Lealaps (un cane addestrato) e un giavellotto dalla mira infallibile.Il mito in generale rappresenta la migrazione tra Oriente ed Occidente e il nome di Europa, che venne poi dato ai territori occidentali, riflette in generale questo spostamento. I culti dei bovini e della luna che si riscontrano nel mito, furono trasmessi attraverso le migrazioni dal Medio Oriente e dall’Africa verso la Grecia. A questo culto si lega poi la scelta dell’opera, evocando l’antico rito della transumanza bovina cheha caratterizzato i nostri territori per secoli. L’opera è un’esplosione di colori che fa da sfondo alla tridimensionalità della statua marmorea dipinta. Alla statuaria classica si contrappone il nero di fondo, su cui si stagliano elementi floreali e una parte di letteringtipici della street art contemporanea, a trasportare l’antico mito greco nell’attualità.La statua, dipinta con sapienza in ogni suo particolare, con un gioco di chiaro scuri che la rende reale, assume una tridimensionalità tale che in base alla prospettiva in cui la si guarda sembra fuoriuscire dalla parete su cui è dipinta. La grande scala dell’opera inoltre accentua la monumentalità della statua che si impone tra la cortina edilizia delle case che compongono via Scarpini. I Murales di Covo Mappa dei Murales La visione di CURE è duplice, la prima e più evidente è il dare vitalità e qualità al territorio attraverso l’arte urbana ed iniziative varie, la seconda è invece quella di costruire e rafforzare il rapporto che la popolazione, e principalmente i giovani, hanno con il nostro territorio, il contesto in cui viviamo e radicare in essi un profondo senso di appartenenza e un atteggiamento proattivo davanti alle problematiche sociali, costruendo così un buona base di cittadinanza attiva e partecipata. 

Il vecchio Mulino

, Podcast Alessandra Carloni, nasce a Roma nel 1984, dove vive e lavora. Si diploma all’Accademia di Belle Arti di Roma nel 2008 con la cattedra di Celestino Ferraresi e si laurea nel 2013 in Storia dell’arte contemporanea, presso l’Università “La Sapienza”. Dal 2009 inizia la sua attività come pittrice e artista, esponendo in personali e collettive in gallerie di Roma e in altre città italiane, vincendo diversi premi e concorsi. In parallelo inizia la sua attività anche come street artist, realizzando opere murali a Roma, Milano, Firenze, Torino, Marsala, Sulmona, Savona, Venezia, Rovigo, Lussemburgo e Caserta e vincendo premi e riconoscimenti. L’opera:Il mulino di Covo, più precisamente il molino fuori Porta Mattina che risale al 1400, diventa in quest’opera di Alessandra Carloni il pretesto di un macchinoso gioco, dove l’acqua, risorsa primaria e di fondamentale importanza per la sopravvivenza del Pianeta, diventa la fonte di energia essenziale al volo di una Covo fiabesca e surreale.Questo marchingegno onirico si compone di riferimenti al territorio, la chiesa parrocchiale con il suo campanile e la torre del Castello (l’ultima rimasta delle 9 torri) insieme al mulino diventano simboli di un luogo magico sospeso nel cielo, che quasi come un carillon o un gioco antico si attiva al comando di una chiave, poste nella parte bassa dell’isola di terra staccata.In cima, a viaggiare in questo paese fluttuante, seduto sopra il mulino, emerge uno dei personaggi iconici della Carloni, un sognatore dagli occhi chiusi nel quale dobbiamo immedesimarci per poter interpretare la scena onirica, che sorregge un anfora dalla quale versa dell’acqua che fa scendere il mulino e innesca il volo surreale di Covo.Carloni, con il suo stile inconfondibile nel panorama dell’arte urbana fatto di linee rigide marcate e un colore molto ricco a livello cromatico, omaggia l’elemento dell’acqua, la memoria dei luoghi e la dimensione agricola del nostro territorio, ricordandoci con il suo personaggio che siamo artefici del nostro futuro: saremo in grado di volare? Mappa dei Murales La visione di CURE è duplice, la prima e più evidente è il dare vitalità e qualità al territorio attraverso l’arte urbana ed iniziative varie, la seconda è invece quella di costruire e rafforzare il rapporto che la popolazione, e principalmente i giovani, hanno con il nostro territorio, il contesto in cui viviamo e radicare in essi un profondo senso di appartenenza e un atteggiamento proattivo davanti alle problematiche sociali, costruendo così un buona base di cittadinanza attiva e partecipata.